L’Italia può essere fiera del fatto che il primo giardino botanico d’Europa fu creato a Pisa, nel 1544. Come altri giardini simili fu gestito dall’università e fu destinato alle piante medicinali. Verso la fine del secolo Johann Conrad von Gemmingen, vescovo-principe di Eichstätt, una cittadina bavarese, chiede al botanico Joachim Camerarius di creargli un giardino che potesse uguagliare sia i giardini botanici italiani che quello della città di Leiden. Con la morte di Camerarius il progetto fu portato a compimento da Basilius Besler. Ma il lavoro non finì con l’ultima vangata o l’ultima potatura di una siepe del cosidetto Hortus Eystettensis. E qui si vede già una differenza tra la cultura tedesca e quella italiana. Il vescovo sapeva che figlia della sapienza è la divulgazione e quindi incaricò Besler della compilazione di un catalogo scientifico delle piante del suo giardino, un lavoro che lo impegnò per sedici anni. L’opera fu pubblicata nel 1613 e consta di 367 pagine con 1084 incisioni su rame, bellissime, colorate e botanicamente precise.
La prima edizione del Florilegio di Besler ebbe una tiratura di trecento copie che si vendettero nell’arco di quattro anni prima della sua ripetuta ristampa. Ecco un esempio della cultura tedesca nel campo della botanica: una sacra trinità di lavoro scientifico, impegno pratico e divulgazione.
Sono molto contento che questo convegno porti il sottotitolo “Ludovico Winter, un giardiniere tedesco a La Mortola”, perché ritengo che siano proprio le caratteristiche tedesche della sua cultura – cultura intesa sia come insieme di nozioni sia come complesso di atteggiamenti ed abitudini – ad esser state finora ignorate.
Non è per niente chiaro cosa volesse dire Paolo Mantegazza quando definì il suo caro amico Ludovico Winter un self-made man. L’affermazione di Mantegazza mostra due limiti: innanzitutto tende ad ignorare sia l’impronta del contesto culturale generale della società sia quella specifica, cioè orticolo-botanica, in cui emerge il nostro soggetto – cosa veramente strana per un antropologo; e poi sembra supporre che il sistema tedesco di educazione tecnica fosse così limitato da non lasciare alcuna traccia formativa sullo studente.
Insistere sull’importanza della cultura come fattore non vuol dire negare l’importanza di altre influenze, quali quelle familiari e perfino dei contatti ed esperienze casuali. E sicuramente non voglio negare la genialità, l’intelligenza, l’energia e le varie qualità personali del Winter, che lo hanno reso una delle figure più importanti nella storia dell’estremo Ponente ligure e addirittura della floricoltura italiana in generale. Ma resta il fatto che anche i geni, gli innovatori, i personaggi eccezionali sono tutti prodotti di una determinata cultura. Separare il genio dalla sua cultura sarebbe come descrivere l’Everest senza menzionare l’Himalaya o il Monte Bianco senza parlare delle Alpi. Prestare attenzione alla cultura non sminuisce il soggetto, ma rende possibile l’identificazione del suo contributo e rende lo stesso soggetto più comprensibile.
E’ ben noto che Ludovico Winter nacque a Heidelberg nel 1846. Meno noto è il fatto che nacque in quell’anno anche un altro grande giardiniere tedesco destinato ad avere un impatto notevole sulla botanica in Italia: Carl Ludwig Sprenger, nato a Güstrow; arrivò a Pallanza, sulla riva piemontese del Lago Maggiore, intorno a 1874 prima di scendere a Napoli per avviare la sua carriera orticola in Italia. I due non si conoscevano personalmente e non si incontrarono fino al 1909 quando Sprenger visitò Bordighera. Oggi il nome di Sprenger è quasi completamente dimenticato in Italia, ma intorno al 1900 fu uno dei giardinieri più importanti: ottenne nuove varietà di Canna indica, le cosidette Canne italiane, gestì un giardino di acclimatazione in Toscana nei primi anni del Novecento ed un giardino-vivaio – l’ Hortus Botanicus Vomerensis – una sorta di Vallone del Sasso meridionale, tragicamente distrutto dall’eruzione del Vesuvio nel 1906. Scrisse più di duecento articoli sulle riviste più prestigiose del settore in Italia, Inghilterra, Germania, Austria e Francia, compreso un geniale e commovente articolo proprio sull’opera e la personalità di Winter, uno scritto ispirato non solo dai giardini che aveva visto a Bordighera ma dalla qualità della vita familiare della famiglia Winter.
Ma questi due grandi non erano i soli: alla stessa generazione appartiene Alfred Kelbling, primo direttore dei Giardini di Roma, nominato per concorso nel 1887. Winter, Sprenger e Kelbling fecero parte di una seconda leva di giardinieri tedeschi in Italia. Prima ancora furono attivi ad esempio Joseph Frietsch giardiniere del granduca Ferdinando III di Toscana, Franz Dehnhardt, capo giardiniere del Real Orto Botanico di Napoli e Karl Hüller, grande paesaggista di corte e consigliere in materia orticola del duca Francesco IV d’Este a Modena.
Ma anche dopo la generazione di Winter, Sprenger e Kelbling ci furono figure importanti: un giovane Uberto Hillebrand , fondatore di una dinastia di giardinieri italo-tedeschi a Pallanza, arrivò in Italia verso 1887. Anche lui fu autore di una interessantissima descrizione dei giardini di Winter. Georg Arendts, forse il più noto vivaista tedesco della prima metà del Novecento, fece una esperienza importante ma breve come manager della ditta fondata da Giulio Perrotti a Trieste prima di tornare nel suo paese. Una esperienza simile visse l’unico altro vivaista tedesco di paragonabile livello, Karl Foerster, che lavorò proprio da Winter a cavallo degli anni 1902-03. Non dimentichiamo inoltre che la prima persona ad ottenere nuove varietà di rose nell’Italia unificata fu Paul Bräuer di Mecklenburg, possessore di un vivaio dove coltivò garofani e rose vicino a Sanremo.
Non è un caso che tutti i curatori dei giardini della Mortola fossero sempre tedeschi: Ludwig Winter, Gustav Cronemeyer, Kurt Dinter, Alwin Berger. Per di più, i botanici più rinomati che hanno scritto della Mortola, osannando sempre il lavoro di Winter, erano anche loro quasi tutti tedeschi: Penzig, Strasburger, Flückiger per nominare i più famosi. Penzig, grande ammiratore del Winter, nacque nel 1856 in Slesia, allora territorio tedesco, e tenne la cattedra di Botanica presso l’Università di Genovaper oltre quarant’anni.
Mi permetto un piccolo aneddoto: qualche mese fa visitai la Biblioteca dell’Orto Botanico Reale di Edinburgo. Nelle sezione dei cataloghi esteri c’e una piccola collezione di cataloghi dei vivai italiani; eccone i nomi: Dammann, Herb und Wulle, M. Herb, Carl Sprenger – tutti tedeschi residenti e attivi a Napoli e dintorni – Willi Müller, gestore dell’Hortus Botanicus Nucerensis a Nocerino Inferiore e Roesser und Lorenz di Palermo. L’unica ditta italiana a mandare cataloghi a Edinburgo fu una piccola ditta comasca, Maranesi Moro, fornitrice di piante alpine.
Attenzione: ognuno dei giardinieri nominati in precedenza fu portatore di una certa cultura non sempre legata al proprio passaporto; la distinzione è molto importante: Xavier Kurten, ad esempio, il colosso del giardinaggio piemontese dell’Ottocento, nonostante le sue origini tedesche fu esponente della cultura francese.
Abbiamo visto alcuni nomi illustri fra giardinieri, botanici, progettisti e vivaisti tedeschi che hanno giocato un ruolo determinante nello sviluppo della botanica, la floricoltura e il giardinaggio in Italia; ma per capire meglio la cultura botanica di cui Winter fu erede, guardiamo brevemente la carriera di Ferdinand Jühlke, nel cui vivaio a Erfurt il giovane Lodovico lavorò per due anni prima di studiare a Potsdam. Jühlke nacque nel 1815, periodo in cui l’arte del giardino assume sempre di più un aspetto scientifico. La botanica fa passi avanti giganteschi sia a livello pratico che teorico. In particolare in Germania le nuove conoscenze non rimangono monopolio esclusivo di ristretti circoli accademici ma si diffondono tramite le tante associazioni amatoriali, con uno sciame di pubblicazioni di tutti i tipi e a tutti i livelli, oltre a una rete di scuole, mostre ed altre iniziative pubbliche.
E i grandi del vivaismo tedesco, quali Max Leichtlin e Franz Späth, costituiscono un nastro trasportatore importante tra la botanica scientifica e il giardinaggio popolare.
Una volta diplomatosi, Jühlke diventa giardiniere-accademico in una piccola località sul mar Baltico, dove organizza subito mostre di frutticoltura. Nel 1858 compra un vivaio a Erfurt e poco dopo viene eletto organizzatore delle mostre orticole della città. Quest’ultimo incarico lo porta a organizzare nel 1865 a Erfurt la Grande Esposizione Internazionale dei prodotti orticoli e agricoli, per la quale viene premiato da re Guglielmo, e successivamente quella ancora più importante che si tenne ad Amburgo nel 1869. C’è da ricordare che il vivaio di Jühlke, oltre a offrire quattrocento varietà di rose, più di cinquecento varietà di garofani, un assortimento infinito di alberi da frutto e perfino centotrentasette varietà di grano, vendeva e moltiplicava numerose varietà di piante tropicali e subtropicali quali Caladia, Alocasia, palme, cactus ed altre succulente.
Ovviamente per un giovane come Winter, con una mente viva, con una sete di esperienze nuove illimitata, con un’intelligenza prodigiosa e pronta a cogliere ogni stimolo, essere esposto a questo tripudio di possibilità costituì una preparazione impagabile.
C’è tutta una serie di elementi di rilievo nella vita di Ludovico Winter come, ad esempio, l’importanza data alle mostre sia come occasione di scambiare idee, sia come mezzo commerciale, sia come strumento di paragone, quello che oggi chiamiamo „benchmarking“. Ma soprattutto vediamo l’intreccio di conoscenze botaniche, sia tassonomiche che pratiche, con l’abilità commerciale e la fantasia artistica. Per personaggi quali Jühlke, Winter, Sprenger, Arendts e Foerster, non esistevano le dicotomie tradizionali: da una parte la pratica operativa e dall’altra quella teorica, qui il mondo delle ville dei ceti abbienti e là il mondo dell’arredo urbano, le strutture della vita moderna e il commercio. Ma forse ancora più importante, a differenza della preparazione tipica italiana, è il fatto che il giardiniere paesaggista tedesco si forma partendo dal mondo vegetale e non dall’architettura, dalla botanica e dal l’edilizia.
Nell’introduzione del suo libro su Ludovico Winter, Luigi Viacava corregge l’impressione diffusa da Edmondo de Amicis, che il giardiniere tedesco si sia innamorato delle palme vedendole per la prima volta a Hyères nel 1868; Viacava dice giustamente che “Winter aveva visto e potuto studiare queste piante alla mostra universale di Parigi del 1867 e nel vivaio del maestro della orticoltura parigina Antoine Chantin…o forse ancora prima”. Viacava capì che il giovane giardiniere aveva alle spalle una breve ma importante esperienza in Germania, che non arrivò in Riviera senza conoscere le piante esotiche e che è improbabile – anzi impossibile – che gli Hanbury lo scegliessero come capo giardiniere se avesse avuto conoscenze soltanto delle piante adatte ai giardini tipici del Nord Europa.
Abbiamo appena visto che Winter aveva fatto una prima esperienza di giardinaggio commerciale in un vivaio che forniva numerose piante esotiche. Il fatto è che la Germania ospitava molte collezioni di piante del genere. Non c’è da stupirsi che a parte Winter e i suoi successori nel Ponente ligure, tedeschi e svizzeri di lingua tedesca – da Hermann Stern, a Roberto Diem e Gualtiero Herrfeldt – abbiano dominato il mercato dei cactus e delle succulente del Ponente fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Ho già accennato alla mia visita alla biblioteca del Giardino Botanico di Edinburgo. Lì si trova un manoscritto molto interessante steso dal curatore del giardino James McNab padre, che fece nel 1840 un breve viaggio in Germania. Racconta di aver visto a Flottbeck “un gran numero di Mamillaria ed Echinocactus, alcuni esemplari molto grandi e davvero belli.” Al Giardino Botanico di Amburgo ammira “una collezione molto bella di Zamia”. Al suo arrivo a Berlino, McNab vede “un esemplare molto bello di Chamaerops humilis” ed elenca altre palme. In seguito descrive la collezione di Mammillaria e di Echinocactus. Dopo Berlino il viaggio porta McNab a Colonia, Magonza, Francoforte, Potsdam, Kassel ed altre città, in ognuna delle quali trova collezioni di palme e piante grasse straordinarie.
McNab non visitò Poppelsdorf, ma all’epoca questo giardino vicino alla città di Bonn, dove Winter trovò il suo primo lavoro – senz’altro un posto con delle responsibilità modeste – era rinomato per le sue piante esotiche, avendo ereditato una vecchia collezione che comprendeva molte specie fra le quali trecento varietà di cactus ed altre succulente.
Perfino l’interesse riscontrato nella coltivazione dell’eucaliptus può farsi risalire ad un’ispirazione tedesca, in quanto il botanico Ferdinand Mueller, trasferitosi in Australia, lo fece conoscere largamente in Europa dopo l’introduzione iniziale in Italia da parte del già citato Dehnhardt.
Torniamoadessoal discorso della floricoltura industriale e alle innovazioni commerciali introdotte da Winter. Perfino determinate idee nel campo degli addobbi e prodotti floreali provengono in parte dalla tradizione tedesca. Centro di questa specialità fu come al solito la città di Erfurt. Il catalogo della ditta N.L. Chrestensen racconta come “col tempo il prodotto più importante diventa il Makart-Bouquet, che richiede l’importazione delle foglie di palme e altre piante esotiche.” E’ vero che Winter sviluppa questo ramo della sua attività con grande creatività andando ben oltre le forme comuni e tradizionali, ma fondamentalmente segue una strada già iniziata in Germania.
Winter fu anche portatore di una cultura commerciale pervasa da nozioni basilari di “public relations”, che capiva l’importanza di stampare cataloghi in diverse lingue con prezzi espressi nelle varie valute, l’importanza di biglietti da visita, della partecipazione a mostre estere ecc. – tutte idee che contribuirono a far emergere la floricoltura ligure come industria moderna sul palcoscenico internazionale, non relegata a sorella minore della floricoltura francese.
Per concludere: oggi siamo abituati a parlare della globalizzazione. L’orto-floricoltura è stata da sempre una delle attività umane più internazionalizzate. Le piante utili e belle sono state trasportate da un continente all’altro, da una nazione all’altra. E non solo le piante, ma anche le persone e con loro le loro culture. Winter stesso rimane un simbolo di questa “acclimatazione” umana, un tedesco che ha dato un contribuito immenso all’Italia, trasformando l’economia di una intera regione, che ha dato un contributo pure alla Francia tramite il suo lavoro in Costa Azzurra e al mondo intero con la sua professionalità botanica soprattutto con le palme.
Andrew Hornung è laureato in germanistica all’Universita’ di Manchester. Dopo aver vissuto quasi vent’anni in Italia come insegnante di lingua inglese, ha deciso di scrivere una storia della ibridazione di rose in Italia, libro che deve comparire fra breve. La ricerca lo ha portato a studiare la floricoltura dell’estremo Ponente ligure e con essa il lavoro di Ludovico Winter. Ha pubblicato diversi articoli sia sulle rose italiane che sui giardinieri tedeschi residenti in Italia. Sta preparando un libro su Ludovico Winter.