Cercare, e trovare, specie spontanee rare è sempre entusiasmante, ma particolarmente emozionante, almeno per me, è incontrare le orchidee spontanee terrestri; prima di tutto per la rarità, la bellezza e la varietà di forme, poi, man mano che ci si informa su loro, per gli aspetti complessi che le riguardano, la continua evoluzione e gli straordinari traguardi che hanno già raggiunto.
Ma andiamo per ordine. La famiglia delle Orchidaceae è la più numerosa dopo quella delle Asteraceae e attraverso adattamenti vive praticamente in tutti gli ambienti della Terra tranne i deserti e le calotte glaciali. Le orchidee spontanee che si possono osservare in Italia sono chiamate geofite perché il loro apparato radicale è sottoterra ed ha la funzione di ancorare la pianta ma soprattutto di contenere le sostanze che servono a nutrire le gemme in esso contenute. Sono piante erbacee perenni, il loro fusto o caule dissecca e muore al termine di ogni ciclo vegetativo e, se non raccolto o danneggiato, prima di seccare del tutto, lascia scendere le sue sostanze organiche in un giovane tubero che sostituirà uno vecchio ormai esausto ed avvizzito. In tal modo la gemma contenuta nel giovane tubero, rafforzata, genererà una nuova piantina. Naturalmente non si devono sradicare le orchidee spontanee per osservare le radici di persona o manometterle ma si devono rispettare le piantine nella loro interezza: testi specializzati descrivono nei particolari l’apparato radicale di ciascun genere. Le orchidee europee, tutte terrestri, possono vivere più anni e fiorire una volta all’anno, brevemente, nel periodo primaverile o all’inizio dell’estate.
(Soltanto una specie, in Italia, fiorisce d’autunno, la Spiranthes spiralis) Il loro fusto è semplice, non ramificato, dritto, verde, talvolta sfumato di rosso porpora e le sue dimensioni variano da pochi centimetri sino ad un metro.
L’infiorescenza è più o meno ricca di fiori e può essere compatta oppure rada.
Vicino ad ogni fiore c’è una fogliolina modificata che si chiama brattea, importante perché, o per la forma o per il colore, aiuta a determinare la specie.
Le foglie delle orchidee sono diverse da specie a specie, generalmente sono verdi ma alcune sono macchiate di scuro; possono essere riunite in una rosetta basale o distribuite lungo il fusto.
Particolari sono le foglie della Listera ovata: due, grandi, ovate, opposte, con nervature evidenti, posizionate a circa un terzo del fusto partendo dal basso. Si notano prima dell’infiorescenza, anche perché quest’ultima è rada con fiori piccoli verde-giallastri.
I fiori delle orchidee sono composti da 6 pezzi chiamati tepali; tre esterni uguali nel colore e nella forma e tre interni di cui due sono uguali, il terzo, invece, è completamente diverso dagli altri perché più largo o più lungo, con forme spesso bizzarre, di colore diverso, decorato con punteggiature o righe vistose, per lo più trilobo. Questo tepalo così insolito e diverso si chiama labello. Ed ecco un curioso fenomeno, chiamato resupinazione, che riguarda il labello di quasi tutte le nostre orchidee: quando i fiori sono ancora piccoli boccioli, il labello è posto in alto, ma mentre si sviluppano, prima di schiudersi, fanno una rotazione di 180°, sicché quando si aprono completamente il labello viene a trovarsi in basso, in modo che gli insetti impollinatori possano notarlo e atterrarvi sopra più facilmente. In numerose specie trappole più o meno sofisticate fanno in modo da attirare e usare gli insetti per l’impollinazione che produrrà i semi. Intanto i fiori producono nettare di cui sono ghiotti gli insetti e di solito lo contengono in un prolungamento cavo del calice o della corolla chiamato sperone. Per raggiungerlo gli insetti sono obbligati ad entrare nel cuore del fiore sfiorando punti ricchi di polline. Quando lo sperone è particolarmente lungo, ad esempio nell’Anacamptis pyramidalis, soltanto farfalle dotate di spiritromba possono suggere il nettare, quindi c’è anche una selezione tra gli insetti.
La Listera ovata,già nominata per le due grandi foglie e per l’infiorescenza poco appariscente, attira insetti di specie diverse producendo abbondante squisito nettare, ma non lo contiene in uno scomodo sperone di cui è priva, invece lo fa colare invitante lungo un solco sul labello.
Inoltre anche questa longeva orchidea, può vivere oltre vent’anni, produce un liquido vischioso che attacca sulla testa dei suoi visitatori le masse polliniche pronte a staccarsi. I fiori del genere Ophrys non producono nettare, ma attirano gli insetti impollinatori con la forma del labello molto somigliante alle loro femmine. Confusi anche da sostanze emesse dai fiori e simili a feromoni i maschi, per lo più degli Imenotteri, tentano un accoppiamento e mentre si strofinano, sul loro capo o sull’addome, si attacca il polline. Volando qua e là vengono sedotti da altre false femmine e attraverso altre pseudo-copulazioni impollinano più fiori. Certo che dopo tanta eccitazione e tanti vani assalti amorosi è facile immaginarli alla sera, accasciati su una foglia qualsiasi, forse anche con un po’ di mal di testa… chissà.
Comunque le nostre orchidee, dove per mutamenti ambientali gli insetti pronubi sono quasi scomparsi, sono evolute verso l’autoimpollinazione. Alcune spesso evitano l’impollinazione incrociata facendo tutto all’interno del fiore quasi senza schiuderlo: es. Limodorum abortivum . Recentemente ho potuto tornare ad osservare, per alcuni giorni, un’Ophrys apifera e una mattina l’ho trovata che aveva staccato i suoi pollinii dall’alto e li aveva ripiegati verso lo stimma.
Questa specie è la sola del suo genere a comportarsi così.
Se non intervengono fattori climatici avversi, interventi umani o altro, i fiori maturano i loro ovari fecondati e producono piccolissimi e numerosissimi semi che verranno dispersi dal vento. Ma… sarebbe bello poter seminare orchidee terrestri, invece la formazione e lo sviluppo di una nuova pianta attraverso un seme è quasi un evento raro.
Infatti il seme per poter germogliare ha bisogno di una simbiosi con un fungo particolare che gli trasmetta sostanze che il seme non ha, il tutto con un equilibrio valido per entrambi. Questo rapporto si chiama micorriza e nei testi di botanica è spiegato in modo dettagliato e preciso. Lo stesso vale anche per il fenomeno degli ibridi,occasionali o no, e per altre caratteristiche insolite delle nostre orchidee.
Un caso di apocromia, assenza di pigmenti, l’ho fotografato in un piccolo gruppo di Ophrys sphegodes. In mezzo ad individui normali, alcune piantine avevano i fiori color sabbia. Purtroppo tornata sul posto dopo due giorni per osservare meglio il fenomeno, ho avuto la spiacevole sorpresa che una mano poco rispettosa aveva tagliato quasi tutti gli esemplari, colorati e no, e aveva portato via piantine, visti i buchi attorno. Naturalmente tornerò per la prossima fioritura a vedere cosa è rimasto.
Speriamo bene.