La decisione di creare questa associazione venne presa in una riunione a Roma a fine aprile del 1980 con Roger De Candolle, allora presidente dell’International Dendrology Society, e Dick Norman, anche lui socio dell’IDS, alla fine di un viaggio nei giardini e boschi attorno a Napoli e Roma. Con Roger ci conoscevamo da tempo e avevamo già discusso dei problemi della Mortola, anzi l’avevamo visitata qualche mese prima assieme a Charles de Noailles (predecessore di Roger nella presidenza dell’IDS). Con Dick ci incontravamo invece per la prima volta: quando ero andato in Costa Azzurra lui, che abitualmente risiedeva a L’Oustal, una villa con un bellissimo giardino a Oppio, vicino a Grasse, si era dovuto recare d’urgenza in Spagna per dei problemi di famiglia. Ma diventammo presto amici: ci riconoscevamo reciprocamente la qualità o difetto di non mollare la presa, di essere tenaci e ostinati.
Anzi a questo proposito devo dire che, raccontandogli di alcuni passi compiuti reiteratamente presso le competenti autorità italiane, quando mi sentii dire che ero ‘very doggis’, rimasi piuttosto interdetto, per un italiano difatti esser paragonato a un cane non è un gran complimento. Ma il tono con cui l’aveva detto era elogiativo; quando poi venni a sapere che essere doggish è proprio la caratteristica riconosciuta a John Bull dovetti ricredermi: era il massimo della lode!
La Mortola era allora in una situazione disastrosa, anche se personalmente sono molto sensibile al fascino dei giardini abbandonati. A suo tempo il Demanio l’aveva data in concessione all’Istituto di Studi Liguri, presieduto allora dal prof. Roberto Lucifredi (persona molto influente nella Riviera di Ponente), che si era molto adoperato perchè lo Stato Italiano l’acquistasse in data 08/07/1960 da Lady Hanbury, salvando così i giardini da ogni mira speculativa. Peraltro, morto il suo presidente, l’Istituto si era trovato senza mezzi finanziari e aveva rinunziato alla concessione. Pertanto i giardinieri non ricevevano più il loro salario e tutto era nelle mani del dott. Pier Giorgio Campodonico che, come dipendente dell’Università di Genova distaccato presso i Giardini, era l’unico che avesse nei giardini una posizione ufficiale. Fortunatamente qualche giardiniere, legato al giardino da molti anni di lavoro, talvolta iniziato ancora nell’adolescenza e formatosi professionalmente nell’epoca d’oro di anteguerra sotto gli Hanbury, per puro attaccamento affettivo prestava ancora in parte la sua attività compiendo i lavori assolutamente indifferibili. Ma va tenuto presente che i Giardini avevano già sofferto enormemente durante la guerra, per l’abbandono in cui si erano trovati nelle situazioni d’emergenza che avevano dovuto affrontare.
Era evidente comunque che occorreva trovare una soluzione: un Ente che si assumesse la responsabilità della gestione e, in quei frangenti, l’Università di Genova appariva come la possibilità migliore e, per così dire, più a portata di mano, dato che aveva già un impegno di collaborazione avendo sul posto un suo incaricato.
Peraltro non è che l’Università apparisse entusiasticamente disponibile: uno dei guai della Mortola è proprio quello di essere così eccentrica. Anche da Genova, raggiungerla non è la cosa più agevole del mondo e allora i collegamenti erano ancor più difficili, senza autostrade e con gli innumerevoli attraversamenti di città e cittadine. E se da Genova era già molto scomodo, cosa dire rispetto a Roma e alle altre città italiane?. Non è affatto un’esagerazione dire che i Giardini Hanbury erano più conosciuti in Gran Bretagna che non in Italia. Il giardinaggio o, per meglio dire, l’orticultura è parola originata in Italia ma di cui qui si è finanche perso il significato- sono una passione nazionale in quel paese e il nome degli Hanbury vi è indissolubilmente legato, basti pensare al ruolo svolto dalla famiglia in questione nella costituzione della Royal Horticultural Society. Ricorderà un aneddoto come esempio: per lunghissimi anni nell’anteguerra il Times di Londra, ogni Capodanno, riportava in prima pagina un lungo elenco di tutte le piante che alla Mortola erano in fiore in quei giorni, il che faceva crepare di invidia tutti i connazionali i cui giardini erano ancora bloccati sotto la grigia cappa dell’inverno inglese.
Fatto sta che da parte britannica ci si convinse presto della necessità di costituire un gruppo di pressione che potesse avere una sua veste organica e ufficiale per poter così intervenire autorevolmente sugli organi italiani competenti. Nonchè dell’opportunità che questo avesse una partecipazione italiana larga e qualificata.
In quegli anni io risiedevo a Genova, o per esser più precisi vi avevo vissuto per più di dieci anni e proprio allora, per motivi di lavoro, mi stavo trasferendo a Roma. Avevo molte conoscenze in Inghilterra perchè, col crescere del mio interesse per la natura e per le piante, cercavo di darmi un’istruzione visitando giardini, arboreti e orti botanici e dove potevo farlo più proficuamente e piacevolmente che nelle isole britanniche? (secondo un illustre botanico tedesco Kew Garden è per l’orticultura quel che il Vaticano è per il cattolicesimo!). Di qui il proposito da parte di autorevoli istituzioni britanniche di reclutarmi per il loro progetto.
Non è che questa prospettiva mi entusiasmasse; mi rendevo conto che nella realtà non avrei avuto tanto a che fare con il giardino quanto con i burocrati che ne reggevano le sorti. D’altra parte La Mortola è una località incantevole, un posto unico che ci riporta alla Riviera dei tempi de ‘Il Dottor Antonio’ di Giovanni Ruffini, nell’Ottocento, prima della sua cementificazione. E poi il vedere la passione con cui ci si preoccupava delle sorti dei giardini da parte inglese, in particolare da parte di Dick Norman, mi faceva nascere dei sensi di colpa: il giardino è dello Stato Italiano devono essere gli stranieri a preoccuparsene? Fra l’altro, la conoscenza di quel che avviene all’estero, specie nel mondo anglosassone, in orti botanici anche di grande fama mi aveva fatto constatare che nei Giardini Botanici (ma questo vale pure nei musei e forse anche in tutte le istituzioni culturali che si rivolgono al pubblico) i risultati migliori vengono raggiunti ove si riesca a instaurare una fattiva collaborazione fra tecnici, fra professionisti competenti ed appassionati dilettanti. So che la parola dilettante ha oggigiorno un significato spregiativo e vien considerata sinonimo di facilone e pressapochista. E’ evidente che io la uso nel senso originale di chi svolge un’attività non per lucro o ambizione ma per passione, per solo diletto. E credo che andrebbe rivalutata specie in questi tempi di sfrenato mercantilismo.
Infine qual’è lo scopo di un Giardino Botanico oggi? L’acclimatazione e la conoscenza delle piante di paesi lontani? Anche adesso che ci si muove così facilmente e che ci sono più italiani che vanno alle Maldive di quanti non visitino gli Orti Botanici? La ricerca scientifica? E con quali risultati? Penso spesso che uno degli scopi più attuali oggigiorno possa essere quello di consentire a chi vive in città di accostarsi alla Natura, di conoscerla. Di avvicinarsi così alla comprensione del mistero della vita, come Goethe dice del tempo passato nel suo giardino.
Queste sono state le considerazioni che mi portarono assieme a Marella Agnelli, Roger De Candolle, Robin Herbert e C.D. Brickell (rispettivamente presidente e direttore generale della Royal Horticultural Society), Giorgio Luciani (presidente di Italia Nostra), Dick Norman e Arturo Osio (segretario generale del WWF) a costituire l’associazione Amici dei Giardini Botanici Hanbury e ad accettarne la presidenza. Era il 13/03/1986, una splendida giornata della primavera romana e ricordo con piacere la colazione e la visita al giardino della Villa Wolkonsky, invitati da Lord Bridges, all’epoca Ambasciatore a Roma e tuttora membro del Consiglio dell’Associazione.
Non fu cosa semplice portare il Sig. Sandro Pontremoli rettore dell’Università di Genova, il Ministero dei Beni Culturali ed il Demanio alla firma dell’atto di concessione e fu decisivo l’intervento del Presidente Pertini che, con Roger De Candolle, andammo a trovare e riuscimmo a interessare al buon fine dell’operazione.
Sarei un ipocrita se dicessi che tutto da allora in poi è proceduto sempre per il meglio: come già detto la Mortola usciva da una lunga crisi, occorreva trovare un modus vivendi fra Università e Sovrintendenza che funzionasse agevolmente e non nascondo che vi furono talvolta momenti di grande sconforto. Anche da parte nostra vennero compiuti indubbiamente alcuni errori: mi ricordo ad esempio che, aiutati dall’Università e col nostro contributo, facemmo venire per rafforzare le strutture esistenti un giovane inglese che aveva dato ottima prova di sè a Kew Garden e in altri importanti giardini botanici. Alla Mortola fu invece un disastro. Una cosa è lavorare in una struttura efficiente che ti sostiene e guida efficacemente, un’altra è trovarti isolato, in un ambiente se non ostile certamente diffidente in cui ti devi dar da fare come un matto perfino per sormontare gli ostacoli posti proprio da chi istituzionalmente dovrebbe aiutarti e ringraziarti.
Sono lieto di riconoscere comunque che, quando la professoressa Paola Profumo prese la direzione dei Giardini e la professoressa Paola Gastaldo (mi è caro ricordarLa in questa circostanza) accettò l’incarico di segretaria generale dell’Associazione, facemmo un notevolissimo salto di qualità. Con ‘le due Paole’ potemmo tirare un sospiro di sollievo: i giardini erano finalmente in ottime mani! Ma sappiamo bene che il giardino è qualcosa che vive e richiede sempre vigile attenzione e cura da parte di tutti, cosa particolarmente vera nel nostro paese dove l’esperienza ci dice che le persone hanno sempre fatto premio sulle istituzioni. Occorre quindi preservare, assieme alle piante del giardino, anche questa pianticella non meno rara e preziosa che nei Giardini Hanbury siamo riusciti a far crescere: la comprensione e la collaborazione fra Università, Sovrintendenza e Amici.
Sono convinto che la nostra Associazione, con il Presidente Boris Biancheri e il Segretario generale Ursula Salghetti Drioli Piacenza, ambedue con salde radici in luogo, sia oggi nella miglior situazione possibile per farlo. E che l’intesa e la cooperazione fra tutti sia l’unica strada attraverso alla quale i Giardini Botanici Hanbury riusciranno a raggiungere di nuovo quel livello di eccellenza fra i giardini mediterranei che gli spetta per la natura dei luoghi e per la cura e la passione con la quale più generazioni di persone vi hanno dedicato la loro attività. Questo è lo scopo di tutti noi: di chi vi opera professionalmente, di chi vuole ogni tanto passarvi qualche ora di vera ricreazione e di chi ritiene suo dovere civico dare una mano per preservare questo luogo incantevole e lasciarlo intatto e, se possibile, migliorato alle generazioni future.
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